Il nostro mondo non è più quello degli alpini. Che cosa ci dicono nomi epici come Nikolajewka, Ortigara, San Matteo, Col di Lana e Adamello? Che cosa ricordiamo delle divisioni Julia e Tridentina? Quasi niente. Gran parte di noi li ha letti distrattamente sui libri di storia e in alcuni romanzi autobiografici – come il bellissimo “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern – che raccontano di un eroismo antico, di battaglie e di ritirate, di giovani uomini mandati al massacro senza equipaggiamenti adeguati e senza sapere bene il perchè. di quella storia, della nostra storia, diciamolo francamente, è rimasto poco: qualche monumento, stanche celebrazioni a giugno e a novembre e un repertorio di canzoni, per lo più malinconiche, da intonare ad alta quota. La memoria, nella corsa frenetica degli anni, s’è oscurata in fretta.
Eppure Bergamo nei giorni scorsi si è riempita di attesa. La città più seriosa e laboriosa d’Italia ha aperto le finestre per appendervi le bandiere tricolore, ha innalzato striscioni di benvenuto, ha allestito le vetrine come presepi, ha organizzato una accoglienza in grande stile alle centinaia di migliaia di penne nere in arrivo per la loro adunata annuale. Mai si erano viste Bergamo e la provincia così festose e colorate. Perchè tanto calore? Cosa ha risvegliato in noi questo evento che torna dopo 24 anni?
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Arti e mestieri
Ho sentito questi due termini qualche tempo fa a una trasmissione radio e mi hanno riportato a immagini del passato. Tempi in cui si lavorava con le mani e con la testa, con impegno e passione, con abilità ed esperienza, per costruire oggetti belli o utili.
Erano oggetti realizzati con quanto si trovava in natura e vicino a dove si viveva: il legno, il metallo, la lana, il lino, la pietra. Tanti di questi oggetti venivano realizzati in casa, dopo aver finito le proprie occupazioni del lavoro, grazie alle abilità dell’uomo e della donna, che avevano imparato le tecniche dai genitori o dai nonni. La donna cuciva, ricamava, lavorava a maglia. L’uomo lavorava nell’orto, manteneva in efficienza la casa, realizzava piccoli strumenti utili.
Lo hobbit
Il padrone di casa era un amico degli elfi, una di quelle persone i cui padri compaiono nelle strane storie anteriori all’inizio della Storia, nelle guerre tra gli orchi malefici, gli elfi e i primi uomini del Nord. Nei giorni in cui si svolge la nostra storia c’erano ancora delle persone che avevano per antenati sia gli elfi sia gli eroi del Nord, e Elrond, il padrone di casa, era il loro capo.
Era nobile e bello in viso come un sire elfico, forte come un guerriero, saggio come uno stregone, venerabile come un re dei nani, e gentile come la primavera. Compare in molte storie, ma la sua parte in quella della grande avventura di Bilbo è piccola, anche se importante, come vedrete se mai ne arriviamo alla fine. La sua casa era perfetta, che vi piacesse il cibo, o il sonno, o il lavoro, o i racconti, o il canto, o che preferiste soltanto star seduti a pensare, o anche se amaste una piacevole combinazione di tutte queste cose. In quella valle il male non era mai penetrato.
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Dichiarazione di dipendenza – Radio 3 RAI
Romania – Primavera
E’ appena passata la Pasqua e da poco è terminato l’inverno. La neve e il freddo se ne sono andati e il verde dei prati è intenso e vivace. In ogni casa c’è un albero in fiore come una nuvola di colore. Dalle aiuole spiccano i colori dei tulipani.
Uomini e donne sono indaffarati negli orti di casa e nei campi, i bambini giocano a piccoli gruppi sulla via mentre gli anziani sono seduti davanti dall’uscio a osservare e discorrere.
Per strada si vedono galline che razzolano sui cigli delle strade e caprette, pecore, mucche e cavalli che pascolano nei prati.
I carretti trainati da cavalli sono tornati a transitare sulle strade trasportando attrezzi da lavoro, materiale da costruzione, legna e altro.
Google – Algoritmo PageRank
Google, il più famoso dei motori di ricerca, per ordinare i risultati (le pagine web) ottenuti dalla ricerca di un utente, unisce due metodi: la rilevanza e l’importanza. Assegna a ogni pagina un punteggio di rilevanza che misura quanto la pagina è attinente rispetto ai termini inseriti dall’utente. Ma il vero punto di forza di Google, che gli ha consentito di surclassare gli altri motori di ricerca, è il metodo che assegna il giudizio di importanza alle pagine. L’algoritmo prende il nome di PageRank e assegna un giudizio di importanza a ogni pagina indipendentemente dalle interrogazioni degli utenti, ma unicamente in funzione della rete dei collegamenti ipertestuali tra pagine web, rete che forma il world wide web. La tesi adottata dal PageRank è la seguente: “una pagina è importante se viene citata da altre pagine importanti”.
La natura si risveglia
Quando il bambino era bambino – Lied Vom Kindsein
Quando il bambino era bambino,
se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente,
e questa pozza il mare.
Quando il bambino era bambino,
non sapeva d’essere un bambino.
Per lui tutto aveva un’anima,
e tutte le anime erano tutt’uno.
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Un medium molto vitale
Intervista di Goffredo Fofi a Marino Sinibaldi direttore del terzo programma radiofonico della Rai.
Come è possibile che la radio continui a essere un mezzo così importante, così presente? E non in decadenza come accade alla stampa?
Si potrebbe rispondere così: perché la radio ha insieme maggiore leggerezza e maggiore intensità e le due cose – apparentemente contraddittorie – si alimentano a vicenda. Alla radio è accaduto, alla fine di una storia lunga quasi un secolo, di subire una metamorfosi radicale e di diventare un mezzo leggero, lieve, prossimo a chi lo fa e a chi lo ascolta, anche tecnicamente “facile”. Anche per il fatto che non ci siano sulla radio gli investimenti e le attenzioni che riguardano altri mezzi di comunicazione (non esiste per ora una radio Mediaset: questo implica già un po’ più di libertà…). Il paradosso sta nel fatto che la radio delle origini era tutto il contrario: una cosa fisicamente enorme, ingombrante e immobile, che occupava il centro della casa e aveva una grande autorevolezza. (…) Poi tutto cambia a metà degli anni cinquanta dopo l’invenzione del transistor, che di colpo rende la radio enormemente meno ingombrante, permette che sia piccola e portatile.(…) Nello stesso tempo, a metà degli anni cinquanta, esplode la musica rock, cioè nasce qualcosa che rompe di netto la continuità tra le generazioni. Diventa tecnicamente possibile possedere delle piccole radio personali, ma è desiderabile farlo perché c’è un suono e un linguaggio – la musica rock, appunto – fatto per spaccare le famiglie. Era come se i giovani affermassero: “Io non voglio starmene in salotto ad ascoltare la radio di papà”. (…) Quella rivoluzione potrebbe insegnarci qualcosa ancora oggi, soprattutto rispetto alla galassia del Web: se una tecnologia non ha un contenuto e non genera un desiderio, non si afferma. La radio questo contenuto lo aveva, era la musica rock con tutto quello che comportava, una rottura non solo generazionale che preparava e anticipava quelle degli anni sessanta. In tutti i sensi, la radio diventava un mezzo più mobile, più vicino, non confinato nelle quattro mura di casa. Possiamo ricorrere a una parola un po’ astratta, prossimità: da allora la radio è prossima all’ascoltatore, ha una prossimità anche fisica, percettiva, mentale che genera una relazione particolare, emotiva, quasi affettiva, direi. (…)
Il violinista di Dooney
Come le onde del mare, come le onde del mare
balla la gente quando suono il mio violino.
Mio cugino è prete a Kilvarnet,
mio fratello è prete a Mocharabuiee.
Ma io ho fatto più di mio fratello e mio cugino:
leggono nei libri di preghiere,
io leggo nei miei libri di canzoni
che ho comperato alla fiera di Sligo.
Quando alla fine dei tempi
noi ci presenteremo a Pietro,
andremo da lui seduto in maestà,
allora lui sorriderà ai nostri tre vecchi spiriti,
ma chiamerà me per primo oltre il cancello.