Nella nebbia mi hai accolto nuovo anno.
In un paesaggio da fiaba
nella ancor sonnolenta mattina.
Cosa mi riserverai?
Nulla ti chiedo se non ciò che già ho:
la mia famiglia, la mia casa.
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Romania
I nostri cuori induriti dal male raccontato dai media
(…) Quanto abbiamo bisogno di questa bella notizia! Ogni giorno, infatti, attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono. Per questo la città ha bisogno di Maria, che con la sua presenza ci parla di Dio, ci ricorda la vittoria della Grazia sul peccato, e ci induce a sperare anche nelle situazioni umanamente più difficili.
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Bacche
Vendere il proprio tempo
…accade che un ometto solitario da dieci anni zappa, irriga, raccoglie. Raccoglie ciò che diverrà una buona parte del suo cibo senza che egli debba passare per le forche caudine del mercato. Intanto continua a svolgere il suo “normale” (normale?) lavoro retribuito, ovvero a vendere il tempo della propria vita ricevendone in cambio del denaro con cui comprare tutto ciò di cui ha bisogno. Ma un giorno l’ometto si accorge che quel denaro è troppo, che egli non ha più bisogno di vendere tutto il tempo della propria vita perché non tutto ciò di cui ha bisogno deve comprarlo. Leggi tutto “Vendere il proprio tempo”
Stagioni
Al mattino gli stagni degli abbeveratoi sono velati dal ghiaccio e nelle zone in ombra la brina giorno dopo giorno aumenta la sua consistenza. Uno sparo lontano ti farà ricordare che il tempo della caccia sta per finire. Forse in un capanno dove si erano posate le cesene; su quel lepre che poco prima hai seguito con la voce dei segugi: andavano per boschi e dossi e sentivi i cani ora vicini ora lontani; spegnersi, poi riprendere. Allora con questo “suonar di bracchetti” ti accorgi anche di altri suoni: un sommesso e flautato zufolare di ciuffolotti confidenti sugli apici del bosco, la voce di un pettirosso dentro un cespuglio di rosa canina, un corvo imperiale solitario che vola alto e richiama la compagna che era rimasta indietro, la corsa di un capriolo e un suono di campane che il bel tempo di porta da ponente.
Pranzo scout
Benedetto XVI – Incontro con gli artisti
(…) Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza? Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.
Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. Leggi tutto “Benedetto XVI – Incontro con gli artisti”
In trasferta in Romania
La montagna incantata
Sarebbe stato difficile definire la sua età; poteva oscillare fra i trenta e i quaranta, poichè quantunque avesse un aspetto giovanile, i suoi capelli erano argentei alle tempie e, al sommo del capo già alquanto radi. Due infossature ai lati del cranio sottile e piccolo rendevano più alta la sua fronte. Il vestito: calzoni larghi a quadri d’un giallo chiaro, e una giacca troppo larga e troppo lunga, munita di due file di bottoni e con risvolti molto ampi, era ben lungi dall’avere pretese di eleganza; anche il colletto inamidato era logoro agli angoli per le molte lavature subite, la cravatta era sciupata, i polsini parevano mancare. Almeno Giovanni Castorp lo suppose, vedendo le maniche appoggiarsi flosce ai polsi. Ciononostante il giovanotto capì benissimo di avere davanti a sè un signore; l’espressione del viso dello straniero, il suo portamento disinvolto, anzi leggiadro, non lasciavano dubbi in proposito. Ma quel misto di trascuratezza e di grazia, gli occhi neri e quei baffi leggermente arricciati, ricordavano subito a Giovanni Castorp certi suonatori stranieri che durante le feste di Natale venivano a suonare sotto le finestre e poi guardavano in su coi loro occhi di velluto tendendo il cappello per vedere se dalle finestre si buttava loro qualche soldo. “Un suonatore di organetto”, disse fra sè; non gli fece meraviglia il nome che Gioacchino pronunziò, alzandosi dalla panchina, nell’atto di presentargli quel signore.