Mio emigrare

Certo: bellezza m’incanta
e innamora e inni
dolcissimi comporre
vorrei a un fiore, alla viola
che spunta e ammicca
al sole mite
di primavera quando

il richiamo di te, infinita
Bellezza, rompa il canto
e tutto, tutto
si scolora:

allora
anche la rondine
che già saetta intorno
alla torrre, ebbra
di gridi e sempre
più alta, immagine è
del mio emigrare…

David Maria Turoldo – Canti Ultimi

Un’adolescente

Io – un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?

Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?

Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.

Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.

In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.

Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco –
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più –
ma non in modo certo.

Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.

Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.

La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.

Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.

Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa –

Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.

La conservo ancora.

Wislawa Szymborska
(da Qui, 2009 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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Ogni vita converge a qualche centro

Ogni vita converge a qualche centro,
Dichiarato o taciuto.
Esiste in ogni cuore umano
Una mèta

Ch’esso forse osa appena riconoscere,
Troppo bella
Per rischiare l’audacia
Di credervi.

Cautamente adorata come un fragile cielo,
Raggiungerla
Sarebbe impresa disperata come
Toccar la veste dell’arcobaleno.

Ma più sicura quanto più distante
Per chi persevera:
E come alto alla lenta pazienza
Dei santi è il cielo!

Non l’otterrà forse la breve prova
Della vita, ma poi
L’eternità rende ancora possibile
L’ardente slancio.

Emily Dickinson

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Non occorre titolo

Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in un mattino assolato.
È un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi pieni di memoria.

Tuttavia siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da una qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
proprio come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.

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Considero valore

Riporto oggi alla memoria questa poesia che avevo già scoperto e trascritto nel lontano agosto 2005. L’occasione di ricordare questa poesia viene da una segnalazione trovata su internet del nuovo libro di Erri De Luca “I pesci non chiudono gli occhi”. Ulteriore spunto è stato l’incontro mancato ieri con l’autore ieri sera a Dalmine nell’ambito del programma “Terra: Giardino dell’Eden?”

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.
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Per il mattino di Pasqua

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicono: è pazzo!
E mi fermerò sopratutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò sulla via
inchinandomi fino a terra.
E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.
E a chiunque venga
anche al ricco dirò:
siediti pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).
E dirò a tutti.
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso.

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Confessioni di un teppista

Non a tutti è dato cantare,
E non tutti possono cadere come una mela
Sui piedi degli altri.

Questa è la più grande confessione,
Che mai teppista possa rivelarvi.

Io porto a bella posta la testa spettinata,
Lume a petrolio sopra le mie spalle.
Mi piace illuminare nelle tenebre
L’autunno spoglio delle vostre anime.
E mi piace quando una sassaiola di insulti
Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera,
Solo allora stringo più forte tra le mani
La bolla tremula dei miei capelli.

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In attesa che l’amico torni

Tu non sai cosa sia la notte
sulla montagna
essere soli come la luna;
nè come sia dolce il colloquio
e l’attesa di qualcuno
mentre il vento appena vibra
alla porta socchiusa della cella.

Tu non sai cosa sia il silenzio
nè la gioia dell’usignolo
che canta, da solo nella notte;
quanto beata è la gratuità,
il non appartenersi
ed essere solo
ed essere di tutti
e nessuno lo sa o ti crede.

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Quando il bambino era bambino – Lied Vom Kindsein

Quando il bambino era bambino,
se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente,
e questa pozza il mare.

Quando il bambino era bambino,
non sapeva d’essere un bambino.
Per lui tutto aveva un’anima,
e tutte le anime erano tutt’uno.

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Nella nebbia mi hai accolto

Nella nebbia mi hai accolto nuovo anno.
In un paesaggio da fiaba
nella ancor sonnolenta mattina.
Cosa mi riserverai?
Nulla ti chiedo se non ciò che già ho:
la mia famiglia, la mia casa.
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