L’uomo che si batte con valore

Non è il critico che conta; non chi fa notare come inciampa un uomo forte, o dove chi fa qualcosa potrebbe farlo meglio. Il credito va all’uomo che si trova realmente nell’arena, il cui volto è imbrattato di polvere, sudore e sangue; che si batte con valore; che sbaglia, e si mostra inadeguato ancora e ancora, perché non esiste impegno senza errore e fallimento; ma che lotta davvero per fare le cose; che conosce i grandi entusiasmi, le grandi dedizioni; che si dedica a una degna causa; che nel migliore dei casi conosce alla fine il trionfo di un grande risultato, e nel peggiore, se fallisce, almeno fallisce avendo osato molto, cosicché il suo posto non debba mai essere tra quelle anime timide e fredde che non conoscono la vittoria né la sconfitta.

Theodore Roosevelt – Discorso alla Sorbona di Parigi il 23 aprile 1910

Vita di un uomo: Francesco d’Assisi

SanFrancesco_CimabueIl muro di diffidenza che circondava la piccola comunità si andava sgretolando ma non era del tutto crollato. Si univano rapidamente a Francesco altri compagni conquistati dal suo entusiasmo, dal potere fascinatorio della sua parola. Erano uomini fuor del comune, capaci di dare un taglio a ogni consuetudine e sicurezza materiale e affettiva, per entrare a fare parte di una società improvvisata, senza prestigio né tradizione; persone di fortissima tensione morale, di ampie virtù, di grande impegno religioso. Poi c’era la folla, a volte tiepida nell’ascolto, a volte sconcertata per non dire ostile, a volte ancora persuasa e soggiogata. Cera chi considerava quegli uomini sempre pronti a esortare, ad amare Dio, a fare la pace, dei pazzi e dei fissati, e chi invece li ammirava come uomini di vita evangelica. Un tale che li ascoltava ebbe a dire: «Questi, o sono di una perfezione massima per essere uniti a Dio in modo tanto perfetto o sono dei folli, perché la loro sembra proprio una vita da disperati; non mangiano quasi niente, camminano a piedi nudi, sono vestiti da miserabili». Le ragazze, al solo vederli da lontano, scappavano spaventate; parevano uomini del bosco, uomini selvatici. Qualcuno li riteneva ciarlatani, possibili ladri, e perciò rifiutava di ospitarli in casa; Francesco e i compagni spesso si dovettero riparare sotto un portico o in un forno per il pane. Certuni li accoglievano a manate di fango, altri li prendevano in giro costringendoli a tenere in mano dei dadi oppure, afferratili per il cappuccio, se li trascinavano come fossero dei sacchi portati a spalla. Là dove erano stati spezzati legami famigliari, e ancora dolorosa era la separazione, le reazioni furono ancor più esacerbate e l`ostilità più dichiarata.

Fedeli alle parole del Vangelo, Francesco e i compagni non reagivano però alle persecuzioni, si mostravano pacifici; quel modo di vita austero e insieme lieto disorientava, turbava e alla fine attraeva le persone. Interrogati si dichiarano semplicemente uomini penitenti di Assisi. L’appello di Francesco è trascinante, invita alla pace, all’amore del prossimo. Spesso i compagni fanno «da spalla», approvando e dicendo che si tratta veramente di ottimi consigli. Qualche volta Francesco canta ancora in francese le lodi al Signore, a voce alta e chiara, per darsi e infondere coraggio: è un periodo di apprendistato e di prove; sperimenta molte «Regole» (nessuna delle quali giunta fino a noi), diversi modi di vita che mette in pratica con i compagni prima di renderli principi normativi, esaltando la povertà in modo appassionato.

Chiara Frugoni – Vita di un uomo: Francesco d’Assisi

La città di Leonia

Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città si espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E’ una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.

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Il tempo del discernimento: leggere i segni dei tempi, ascoltare le cose che accadono e il sentire della gente

Questo discernimento richiede tempo. Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento. E a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di fare dopo. È ciò che è accaduto anche a me in questi mesi. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri.

Che cosa significa per un gesuita essere eletto Papa? Quale punto della spiritualità ignaziana la aiuta meglio a vivere il suo ministero?

Il discernimento. Il discernimento è una delle cose che più ha lavorato interiormente sant’Ignazio. Per lui è uno strumento di lotta per conoscere meglio il Signore e seguirlo più da vicino. Mi ha sempre colpito una massima con la quale viene descritta la visione di Ignazio: Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est (E’ proprio di Dio non lasciarsi prendere dalle cose più grandi, ma lasciarsi contenere dalle cose più piccole). Ho molto riflettuto su questa frase in ordine al governo, ad essere superiore: non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto. Questa virtù del grande e del piccolo è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l’orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio.

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Inciampare in una passione

Oggi ricomincia la scuola. E’ passata la stagione delle vacanze estive che ha portato tante occasioni per fare nuove esperienze, stare con gli amici in libertà, visitare luoghi, avere tempo per i propri interessi, sperimentarsi, conoscersi e crescere. Dopo tre mesi di vacanza si torna tra i banchi di scuola più maturi e certamente cambiati.

“In generale, la scuola sarebbe un posto bellissimo in cui passare le mattine, se non ci fosse di mezzo lo studio. E poi credo che sia sano che un ragazzo normale trovi a volte la scuola odiosa. Però è anche il luogo in cui incontri i tuoi amici, in cui succedono un sacco di cose strambe che ricorderai per sempre. E a volte può capitare di inciampare in una passione. Io credo che a questo debba servire la scuola, non a farti andare bene in tutte le materie, ma a darti più possibilità di inciampare in qualcosa che ti piace davvero.”

Cristiano Cavina

Estiva

Distesa estate,
stagione dei densi climi
dei grandi mattini
dell’albe senza rumore –
ci si risveglia come in un acquario –
dei giorni identici, astrali,
stagione la meno dolente
d’oscuramenti e di crisi,
felicità degli spazi,
nessuna promessa terrena
può dare pace al mio cuore
quanto la certezza di sole
che dal tuo cielo trabocca,
stagione estrema, che cadi
prostrata in riposi enormi,
dai oro ai più vasti sogni,
stagione che porti la luce
a distendere il tempo
di là dai confini del giorno,
e sembri mettere a volte
nell’ordine che procede
qualche cadenza dell’indugio eterno.

Vincenzo Cardarelli

Vita di Pi

VitaDiPi

Intorno a me tutto era piatto e infinito, un panorama blu senza fine. Non c’era niente che ostacolasse la mia vista. L’immensità mi colpì come un pugno allo stomaco. Mi abbandonai all’indietro, senza fiato. Quella zattera era uno scherzo. Nient’altro che qualche asse di legno e un po’ di sughero tenuti insieme da una corda. L’acqua penetrava da ogni fessura. L’abisso sotto di me avrebbe fatto venire le vertigini a un uccello. Diedi un’occhiata alla scialuppa. Non era tanto diversa da un mezzo guscio di noce. Si teneva a galla come le dita di un uomo si aggrappano all’orlo di un burrone. Era solo una questione di tempo, e la gravità l’avrebbe tirata giù.

Venne l’alba e la mia situazione peggiorò. Ero emerso dalle tenebre e riuscivo a vedere quello che prima potevo solo sentire: enormi cortine di pioggia mi si riversavano addosso da altezze vertiginose mentre le onde, una dopo l’altra si abbattevano su di me calpestandomi.

Tremante e intorpídito, continuai ad aspettare, lo sguardo spento, una mano stretta intorno al raccoglitore d’acqua piovana e l’altra aggrappata alla zattera.

Poi smise di piovere, e all’improvviso cadde il silenzio, un silenzio assoluto. Il cielo si aprì e le onde parvero dileguarsi insieme alle nuvole.

Fu un cambiamento stranamente rapido e radicale, come passare da un paese all’altro. Galleggiavo su un mare del tutto diverso. In cielo il sole era rimasto solo, e l’oceano era una pelle liscia che rifletteva la luce con un milione di specchi.

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Allegro ma non troppo

Buon compleanno mamma Uta
allegra, tenace e forte.

Sei bella – dico alla vita –
è impensabile più rigoglio,
più rane e più usignoli,
più formiche e più germogli.

Cerco di accattivarmela,
di blandirla, vezzeggiarla.
La saluto sempre per prima
con umile espressione.

Le taglio la strada da sinistra,
le taglio la strada da destra,
e mi innalzo nell’incanto,
e cado per lo stupore.

Quanto è di campo questo grillo,
e di bosco questo frutto –
mai l’avrei creduto
se non avessi vissuto!

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Mio emigrare

Certo: bellezza m’incanta
e innamora e inni
dolcissimi comporre
vorrei a un fiore, alla viola
che spunta e ammicca
al sole mite
di primavera quando

il richiamo di te, infinita
Bellezza, rompa il canto
e tutto, tutto
si scolora:

allora
anche la rondine
che già saetta intorno
alla torrre, ebbra
di gridi e sempre
più alta, immagine è
del mio emigrare…

David Maria Turoldo – Canti Ultimi

Un’adolescente

Io – un’adolescente?
Se ora, d’improvviso, si presentasse qui,
dovrei salutarla come una persona cara,
benché mi sia estranea e lontana?

Versare una lacrimuccia, baciarla sulla fronte
per la sola ragione
che la nostra data di nascita è la stessa?

Siamo così dissimili
che forse solo le ossa sono le stesse,
la calotta cranica, le orbite oculari.

Perché già gli occhi è come fossero più grandi,
le ciglia più lunghe, la statura più alta
e tutto il corpo è fasciato
dalla pelle liscia, senza un’imperfezione.

In verità ci legano parenti e conoscenti,
ma nel suo mondo di questa cerchia comune
sono quasi tutti vivi,
mentre nel mio quasi nessuno.

Siamo così diverse,
i nostri pensieri e parole così differenti.
Lei sa poco –
ma con un’ostinazione degna di miglior causa.
Io so molto di più –
ma non in modo certo.

Mi mostra delle poesie,
scritte con una grafia nitida, accurata,
con cui io non scrivo più da anni.

Leggo quelle poesie, le leggo.
Be’, forse quest’unica,
se fosse accorciata
e corretta qua e là.
Dal resto non verrà nulla di buono.

La conversazione langue.
Sul suo modesto orologio
il tempo è ancora incerto e costa poco.
Sul mio è molto più caro ed esatto.

Per commiato nulla, un sorriso abbozzato
e nessuna commozione.

Solo quando sparisce
e nella fretta dimentica la sciarpa –

Una sciarpa di pura lana,
a righe colorate,
che nostra madre
ha fatto per lei all’uncinetto.

La conservo ancora.

Wislawa Szymborska
(da Qui, 2009 – Traduzione di Pietro Marchesani)

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