Grazia di esistere

Mi sono riconosciuto in questo racconto quando al mare all’isola d’Elba o nel Salento al mattino appena arrivato o nei momenti di noia giro per la spiaggia raccogliendo cartacce, lattine, bottiglie di plastica e rifiuti portati dal mare. Avere cura dell’angolo di terra che ci è stato affidato è un bell’impegno che ci rende anche più in armonia con il mondo.

La spiaggia di Mazzaforno, vicino a Cefalù, è una spiaggia come poche, nel senso che la natura si è particolarmente impegnata nel farla bella, ma è una spiaggia come tante: fra lattine, cartoni e materassini abbandonati, ogni mattina d’estate assomiglia a una discarica. Una di quelle spiagge in cui i bagnanti arrivano, guardano, si adeguano. Nel peggiore dei casi gettano qualcosa sulla sabbia anche loro. Nel migliore borbottano: contro gli spazzini che non spazzano, i poliziotti che non puniscono, i politici che se ne infischiano. E i tempi – oh, i tempi! – che non sono mai quelli di una volta. Succede così pure a Mazzaforno. Soltanto che lì c’è la signora Grazia. Che non si adegua e non borbotta. Ma ogni mattina d’estate china la schiena e, munita di guanti e sacchi neri, incomincia a raccogliere le tracce della maleducazione altrui.

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Si può “insegnare” a scrivere? Sì, ma la tecnica non basta…

È possibile “insegnare” a scrivere? Scrivere infatti è un atto di conoscenza di sé e del mondo, e la competenza richiesta dipende innanzitutto da come uno percepisce se stesso. Nessuna tecnica può sostituire questo punto di partenza.
D’altra parte, scrivere richiede anche un vero apprendistato: in tanti anni di insegnamento ho incontrato ragazzi dall’umanità trasbordante, che non avevano gli strumenti per dirsi, per la confusione interiore in cui non sapevano mettere ordine, o perché semplicemente non sapevano che lo scritto non è la trasposizione grafica del parlato.
All’interno del dibattito sullo scritto, e dopo un mio articolo precedente, vorrei riprendere il tema presentando i due versanti, che sono uno inscindibilmente legato all’altro, e vanno entrambi “educati” e portati a riflessione.
Per scrivere occorre innanzitutto una posizione umana. Del resto, scrivere non è un “compito scolastico”: si scrive non solo per comunicare, ma per capire cosa si ha dentro di sé; è questa l’esperienza di chi scrive un diario, ma anche un racconto, una poesia e persino una descrizione. In questo senso la scrittura è prima di tutto un’esperienza, che non tutti riescono a fare in tutta la sua ricchezza.
La persona che scrive attraverso la pagina scritta chiarisce a se stessa il proprio pensiero attraverso l’atto dello scrivere, e solo secondariamente espone se stessa al potenziale lettore, il che richiede fiducia di avere in sé qualcosa che vale la pena dire ad altri. Scrivere richiede disponibilità a mettersi in gioco, fiducia in chi leggerà, volontà di essere capiti, e quindi sforzo di chiarezza, di completezza, per permettere a chi legge di entrare a tutto tondo in quello che gli viene proposto.
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Riva Bianca di Lierna

C’è una bella spiaggia di sassolini bianchi ed erba, l’acqua è limpida e si gode una bella vista su Bellagio e sui monti della parte settentrionale del lago.
La riva è animata da numerose anatre e da un paio di oche che si muovono, ormai abituate alla gente, con indifferenza tra i bagnanti. Durante la giornata ha fatto visita con eleganza una famiglia di cigni. In acqua si vedono piccoli e grandi pesci.
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Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede

In ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giovani sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà. Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice. Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande. Se penso ai miei anni di allora: semplicemente non volevamo perderci nella normalità della vita borghese. Volevamo ciò che è grande, nuovo. Volevamo trovare la vita stessa nella sua vastità e bellezza. Certamente, ciò dipendeva anche dalla nostra situazione. Durante la dittatura nazionalsocialista e nella guerra noi siamo stati, per così dire, “rinchiusi” dal potere dominante. Quindi, volevamo uscire all’aperto per entrare nell’ampiezza delle possibilità dell’essere uomo. Ma credo che, in un certo senso, questo impulso di andare oltre all’abituale ci sia in ogni generazione. È parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande. Si tratta solo di un sogno vuoto che svanisce quando si diventa adulti? No, l’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente. Sant’Agostino aveva ragione: il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in Te. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace. Allora comprendiamo che è un controsenso pretendere di eliminare Dio per far vivere l’uomo! Dio è la sorgente della vita; eliminarlo equivale a separarsi da questa fonte e, inevitabilmente, privarsi della pienezza e della gioia: “la creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (Con. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). La cultura attuale, in alcune aree del mondo, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio, o a considerare la fede come un fatto privato, senza alcuna rilevanza nella vita sociale. Mentre l’insieme dei valori che sono alla base della società proviene dal Vangelo – come il senso della dignità della persona, della solidarietà, del lavoro e della famiglia –, si constata una sorta di “eclissi di Dio”, una certa amnesia, se non un vero rifiuto del Cristianesimo e una negazione del tesoro della fede ricevuta, col rischio di perdere la propria identità profonda.

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Nell’orizzonte dell’infinito

Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c’è niente di più spaventevole dell’infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nella pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste più ‘terra’ alcuna!»

Friedrich Nietzsche – La gaia scienza, 124

L’orizzonte condiviso di un amore

Persone ormai invecchiate e quindi obbligate a contare gli anni che restano loro da vivere, smentiscono un intero itinerario di vita già percorso e si dicono addio, nel sogno di poter trascorrere l’ultima parte della vita – la cui aspettativa si è sempre più allungata – nella libertà, senza dover più «fare i conti» con qualcun altro. È l’epifania dell’egoismo anzi, dell’egolatria celebrata secondo le proprie possibilità, è il non voler più riconoscere che l’amore esige anche sacrificio, rinunce: se infatti il cammino è condiviso con altri, allora occorre riconoscere l’altro che ci sta accanto nella sua differenza, assumendo che ci siano assieme ai giorni di gioia e di piacere condivisi anche quelli in cui il rapporto si fa difficile, in cui si è chiamati a perdonare l’altro, in cui far uso di sapienza, a volte accettando perfino di restare nel «buio», attaccati alla promessa fatta, alla parola data.

In una lettera inviata dal carcere in cui attendeva la morte che il regime nazista gli avrebbe inflitto, il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer scriveva: «La perdita della memoria morale non è forse il motivo dello sfaldarsi di tutti i legami, dell’amore, del matrimonio, dell’amicizia, della fedeltà? Niente si radica, niente mette radici: tutto è a breve termine, tutto ha breve respiro. Ma beni come la giustizia, la verità, la bellezza e in generale tutte le grandi opere richiedono tempo, stabilità, memoria; altrimenti degenerano». Parole profetiche, che leggono bene il tempo presente, contrassegnato da provvisorietà e instabilità in tutti i rapporti.
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Mercatino della stradina


Vedi anche:

Mercatino della stradina 2009