
Con le prime ombre della sera si scatenò il diluvio e già dopo pochi minuti era impossibile vedere a un braccio di distanza. Il vecchio si stese nell’amaca aspettando l’arrivo del sonno, cullato dal violento e monocorde mormorio dell’acqua onnipresente.
Antonio José Bolivar Proaño dormiva poco. Al massimo cinque ore per notte, più due alla siesta. Gli bastavano. Il resto del tempo lo dedicava ai romanzi, a divagare sui misteri dell’amore e a immaginare i luoghi dove erano ambientate le storie.
Quando leggeva di città chiamate Parigi, Londra o Ginevra, doveva compiere un enorme sforzo di concentrazione per riuscire a immaginarle, Solo una volta aveva visitato una grande città, Ibarra, di cui ricordava vagamente le strade col selciato, gli isolati di case basse, simili una all’altra, tutte bianche, e la Plaza de Armas piena di gente che passeggiava davanti alla cattedrale.
Era questo il suo maggiore riferimento riguardo al mondo, e quando leggeva le vicende ambientate in città dai nomi seri e lontani, come Praga o Barcellona, gli pareva che Ibarra, col suo nome, non fosse una città adatta ai grandi amori.
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