Il vecchio che leggeva romanzi d’amore

Con le prime ombre della sera si scatenò il diluvio e già dopo pochi minuti era impossibile vedere a un braccio di distanza. Il vecchio si stese nell’amaca aspettando l’arrivo del sonno, cullato dal violento e monocorde mormorio dell’acqua onnipresente.

Antonio José Bolivar Proaño dormiva poco. Al massimo cinque ore per notte, più due alla siesta. Gli bastavano. Il resto del tempo lo dedicava ai romanzi, a divagare sui misteri dell’amore e a immaginare i luoghi dove erano ambientate le storie.

Quando leggeva di città chiamate Parigi, Londra o Ginevra, doveva compiere un enorme sforzo di concentrazione per riuscire a immaginarle, Solo una volta aveva visitato una grande città, Ibarra, di cui ricordava vagamente le strade col selciato, gli isolati di case basse, simili una all’altra, tutte bianche, e la Plaza de Armas piena di gente che passeggiava davanti alla cattedrale.

Era questo il suo maggiore riferimento riguardo al mondo, e quando leggeva le vicende ambientate in città dai nomi seri e lontani, come Praga o Barcellona, gli pareva che Ibarra, col suo nome, non fosse una città adatta ai grandi amori.

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Il mondo alla fine del mondo

Il Finisterre era una barca dalle linee gentili. Avevo immaginato un cutter all’inglese, con varie vele al terzo e un conveniente numero di fiocchi, ma avevo davanti a me un’imbarcazione con una sola vela arrotolata attorno a un pennone e un controfiocco avvolto allo strallo.

Era dipinto di verde e tra le giunture del legname appariva il calafataggio, collocato da mani diligenti, senza sfilacciature. L’acqua trasparente del golfo lasciava vedere parte della chiglia, libera da scorie, e il capitano Nilssen mi invitò a salire a bordo.

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Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volareZorba leccò la testa della piccola gabbiana. Rimpianse di non aver chiesto alla madre come si chiamava, perchè se la figlia era destinata a proseguire il suo volo interrotto dalla disgrazia, sarebbe stato bello che portasse lo stesso nome.

“Visto che la pulcina ha avuto la fortuna di cadere sotto la nostra protezione” miagolò Colonnello, “propongo di chiamarla Fortunata”.

“Per il fegato del merluzzo! E’ un bel nome!” approvò contento Sopravento. “Mi ricorda una splendida goletta che ho visto una volta nel mar Baltico. Si chiamava così, Fortunatam ed era tutta bianca”.

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