– Dev’essere molto presto – pensò. – Le nuvolette sono tutte rosa, e non ho mai visto il cielo di questo colore. Nessuno è alzato, non sento neanche gli stallieri giù nelle scuderie. –
Un nuovo pensiero la fece, d’un tratto, saltare in pedi: – Non posso aspettare. Vado in giardino! –
Aveva imparato a vestirsi da sè, cosicchè, dopo cinque minuti, era tutta pronta. Conosceva una piccola porticina, facile da aprirsi, e volò giù per le scale, con le sole calze, mettendosi le scarpe solo nell’anticamera.
Tolse il paletto, girò la chiave, aprì, poi corse fuori, nel sentiero, sull’erba verde.
Il sole la riscaldava, ed ella udiva dei gorgheggi, dei trilli, dei canti, che parevano uscire da ogni cespuglio e da ogni albero.
Mary si stropicciò le mani per la gioia, poi guardò in su, al cielo turchino, sparso di piccole nuvolette rosee e perlacee, pieno di luce primaverile, e le parve di doversi muovere, e cantare, forse, anche lei, e sapere tutto ciò che sanno i cardellini, i pettirossi e le allodole.
Corse per i sentieri e per i viali verso il Giardino Segreto.
– Tutto è già diverso – pensava – L’erba è verde, e le piante vengono fuori dappertutto, e si vedono le gemme e le foglioline nuove sui rami. Sono sicura che Dickon verrà, nel pomeriggio. –
Il lungo periodo di pioggia aveva operato molti miracoli nelle aiuole che costeggiavano la strada. C’erano delle pianticine che spuntavano e c’erano qua e là delle macchie di vivido rosso e giallo splendente, fra i gruppi delle crocuses. Sei mesi prima Mary non avrebbe osservato tutto quel risveglio della natura, ma ora nulla le sfuggiva.
Quando ebbe raggiunto il luogo dove la porta si nascondeva sotto l’edera, ella fu sorpresa da un suono curioso. Era il gracchiare di un corvo, e pareva venire dalla vetta del muro.
Mary guardò in su, e vide infatti un uccello, con le lucide penne nere, che la guardava, con aria molto saggia. La piccina non aveva mai visto un corvo così da vicino, e ne ebbe quasi paura. Ma, dopo un minuto, la bestia se ne volò per il giardino. Mary, sperando che non vi rimanesse, aprì lentamente la porta. Quando fu nel giardino, si accorse che, probabilmente, l’uccello intendeva proprio di rimanere, perchè si era comodamente appollaiato su un grosso albero di melo; mentre ai piedi dello stesso albero, stava accovacciato un piccolo animale rossiccio e snello, dalla coda abbondante.
Ambedue gli animali stavano osservando la figura china, e l’arruffata capigliatura di Dickon, che stava inginocchiato per terra, lavorando assiduamente.
Mary volò per il viale, verso di lui.
– Oh, Dickon! Dickon! – esclamò. – Come hai potuto essere qui così presto? Come? Il sole si è levato quasi ora! –
Il ragazzo si alzò ridendo: i suoi occhi parevano un nembo di cielo.
– Oh! – disse – mi sono levato molto prima di lui! Come potevo restare a letto?! Il mondo pare proprio che si ridesti tutto, stamani! E dappertutto si sente cantare e gorgheggiare tanto che bisogna proprio alzarsi ed uscire fuori anche noi, invece di rimanere distesi nel letto! Quando il sole si è levato, tutta la brughiera si è illuminata, e sembrava piena di allegria, e anch’io, in mezzo all’erica, correvo come un matto, e gridavo e cantavo. E sono venuto diritto qua: non potevo stare lontano. Capirai, il giardino era qui che aspettava! –
Mary respirava forte, come avesse fatto una gran corsa.
– Oh! Dickon! Dickon! – esclamò – Come sono contenta! –
Vedendo il ragazzo parlare con una persona estranea, la piccola bestia rossiccia, dalla coda a spazzola, si alzò e gli venne vicino, mentre il corvo volava dall’albero di melo fin sulla spalla di Dickon.
– Questa è la piccola volpe – disse il ragazzo, carezzando la testa dell’animaletto rossiccio. – Si chiama Capitano. E questo è Fuliggine. Fuliggine volava dietro a me, per la brughiera, e Capitano correva, quasi fosse inseguito dai cani, tanto erano allegri anche loro! –
Francesca Hodgson Burnett – Il giardino segreto