Brano di conversazione captato in metropolitana nei giorni scorsi: «Ciao, come va?» «Insomma. Sono stanco e ho proprio voglia di fare le ferie per riposarmi un po’». A cena con amici l’altra sera: «Ma che faccia che hai!» «Beh, sai, ho tanto lavoro da finire. Ma adesso mi riposo». Sono i tipici dialoghi di metà luglio: le scuole sono finte, gli ultimi esami in università sono passati, al lavoro si sistemano, con un po’ di affanno, le ultime cose prima delle ferie, le fatiche di tutto un anno pesano e nei pensieri, nei dialoghi, nei progetti affiora con insistenza la necessità del riposo.
Forse, però, non ci interroghiamo sufficientemente su cosa significhi riposare. Rischiando così di passare dal faticoso meccanismo del lavoro a quello solo apparentemente meno invasivo delle vacanze: viaggi, prenotazioni, calcolo delle spese, divertimento più o meno organizzato e quasi forzato. Uno stress. (…)
Per chiarirmi le idee sono andato a cercare l’etimologia della parola riposo. Ho scoperto che deriva dal greco pauo, che significa cessare da una attività faticosa, fermarsi. (…) Ecco, questo mi convince. Riposo se, abbandonate per un certo tempo le faticose attività della vita quotidiana, posso «appoggiarmi» su qualcosa o qualcuno che merita la mia confidenza. E la meritano le cime montane guardate con la lunga calma di un tempo non assillato dagli orari; la merita l’infinità del mare e il silenzio di un bosco; la merita una cena con amici senza la preoccupazione di come comportarsi o di dire le parole giuste; la merita la curiosità per un quadro o un monumento in cui risplende il genio e la passione di grandi uomini che mi hanno preceduto; la merita un bel concerto, un buon libro e anche un pomeriggio passato a cucinare per coloro cui vuoi bene.
Pigi Colognesi – Il Sussidiario