Inventario della casa di campagna

La felicità delle cicale, di cui Anacreonte era giustamente invidioso, riposa principalmente sulla stabilità raggiunta dai loro pubblici ordinamenti: in virtù della pace politica che regna da tempo immemorabile, questi cittadini possono dedicare al canto tutta la loro breve vita, senza distrarsi nelle rivoluzioni. Il governo della loro società ha per essi la stessa necessità delle leggi fisiologiche: come a nessuno di noi verrebbe in mente di far una congiura contro la tirannia del cuore che ci impone il suo ritmo, così non accade che in mezzo al popolo delle cicale sorga un apostolo a predicar come ideale di vita la silenziosa disciplina del formicaio. Le cicale sono ormai, in quanto a politica, al di là del progresso: si sono liberate in eterno da questa ansiosa febbre di crescenza che gli uomini chiamano storia.

Ma forse tutti gli insetti hanno raggiunto, nell’interno del gruppo sociale, questa beata maturità. Da diecine di millenni le api stanno contente alla dura regola del loro convento; ma non meno perfetto le farfalle trovano per sé quel loro regime di vagabonda anarchia che consente a ciascuna di esse di riprendere ogni mattina, senza comitiva e senza passaporto, le rotte fantastiche di un cielo senza frontiere.

Più che un popolo raccolto di sudditi conviventi e sedentari, le felici farfalle costituiscono una rete di nomadi asso~ ciati girovaganti per il mondo, che si riconoscono e si soffermano per un istante di amore a quella tappa ove per caso i loro itinerari si incrociano; ma poi, dopo il breve incontro, ciascuno riprende per suo conto la propria esplorazione solitaria, scrutando dal cielo se in quella mappa variamente fiorita che appare la terra a chi vola, il segno di un colore prediletto non gli riveli finalmente raggiunta la plaga del suo sogno. Così, attraverso questa perpetua migrazione verso la terra ove quel colore fiorisce, ogni farfalla ha scoperto per suo conto il senso magico di certe tinte e l’alfabeto di certi arabeschi scritti nella parte più segreta delle corolle: e invece di cooperare in modo oscuro ed anonimo alla costruzione dell’alveare comune, ciascuna di esse ha preferito spendere il suo genio sulle proprie ali, sfoggiandovi capolavori di pittura pura, originali e riconoscibili come se fossero segnati da una sigla personale.

Tra i pellirosse d’America gli stregoni si tramandano le formule di una misteriosa pittura senza pennelli, colla quale, versando ad arte sul nudo terreno certe loro polveri di lapislazzuli e di rubini macinati, riescono a comporvi meravigliosi tappeti a figure cabalistiche che svaniscono come allucinazioni al primo soffio divento. Forse gli Indiani hanno imparato questa pittura dalle farfalle: che hanno le ali dipinte, senz`aiuto di pennello, con farina di pietre preziose.

Le api e le formiche, e tutti gli altri insetti che vivono in chiuse comunità vestono le grigie uniformi dell’ordine, come guerrieri o frati; ma i liberi lepidotteri portano i colori del loro gusto mimetico, affinato nei cenali delle loro amicizie vegetali: dalle piante che una farfalla frequenta si può indovinare, anche prima di vederla, il colore del suo vestito.

Dalle enormi corolle carnose dei fiori tropicali escono opulente farfalle vestite da sera, con mantelli di raso verdazzurro e rosso geranio guarniti di lustrini, abbaglianti e stucchevoli come il lusso dei nuovi ricchi. Ma le farfalle del mio paese, educate alla scuola di questi misurati orizzonti, hanno imparato a preferire per i loro vestiti le magre mezzetinte che hanno i fiori gracili ed asciutti delle nostre campagne, il ruggine delle violacciocche, il ceruleo grigio delle cicorie, il verdolino perlaceo delle vitalbe. Con un nulla riescono ad essere eleganti senza parere: perfino quelle farfalline povere come son le comuni cavolaie riescono a dar un certo incanto alle loro scialbe ali biancastre, col disporvi qualche tocco di nerofumo e di verde muffa, rubato a quelle chiazze di umido che affiorano sul vecchio intonaco dei poderi, dalla parte di tramontana. E tuttavia anche tra le farfalle nostrali non mancano i pittori di avanguardia che amano le tinte pure. Conosco una rodocera frequentatrice fedele delle ginestre (le quali non per nulla appartengono alla famiglia botanica delle papilionacee) che s’è disegnata le ali lanceolate come i petali di questi fiori, e dello stesso giallo schietto; ma sul margine di quelle superiori il giallo si riscalda in una vampa di vivo arancione, sicché in vetta a un di quei tralci fioriti ali e petali fanno una sola infiorescenza, che termina ardendo con un tremolio di fiammella.

Così la vita delle farfalle consente larga vacanza a quella contemplazione trasognata del mondo che gli uomini chiamano arte e poesia. Solo chi non le ha mai osservate mentre volano può credere che i loro soli stimoli siano il cibo e l’amore; in realtà basta vedere con quale sprezzante noncuranza esse passano talvolta, filando via nel cielo, sui pingui prati ove tutte si fermano le sagge api senza fantasia, per accorgersi che nei loro sogni c’è qualche richiamo che conta più del nettare dei fiori. Viaggiare tutto il giorno per inseguire quell’estro; all’imbrunire fermarsi a caso sul primo filo d’erba, colle ali raccolte sul dorso, per dormire sotto lo stellato; e alle prime luci riprendere il viaggio senz’altro bagaglio E non è detto poi che facciano sosta tutte le sere: d’estate certe notti di luna sono così chiare che anche le farfalle, ingannate da quell’ambiguo albore di eclissi, continuano a volare come se fosse ancora giorno, un pallido giorno boreale specchiato in uno stagno verdastro; e il palpito dei loro voli insonni, che si intravede nella perlacea nebbiolina notturna, dà l’impressione che i prati siano popolati da fantasmi d’ali, evocati dal plenilunio.

Ci sono poi certe farfalle più solitarie che osano dare la scalata alle più alte cime dell’alpe: e son capaci di compiere l’ascensione, dalla pianura alla vetta, in una tappa sola.

È perfettamente inutile che qui vengano fuori i naturali~ sti a dirmi che questo non è possibile, perchè tutta la vita delle farfalle, anche di quelle che hanno il volo più sostenuto, si svolge nel giro di poche miglia. Per conto mio preferisco continuare a credere che vi siano certe farfalle, specialmente le sdegnose vanesse, capaci di queste ardimentose migrazioni; e mi piace immaginarmele in questa infaticata ascesa, mentre perseverano nel volo senza dar retta al richiamo delle praterie alpi~ ne nascoste tra gli abeti, e senza lasciarsi distrarre dai rododendri e dalle genziane che più in alto rimangono ultimi a screziare le rocce. Solo quando son giunte al disopra di ogni vegetazione, sulle crode squallide e sui ghiacciai, allora si sentono felici, perché più dei piccoli fiori esse amano gli sconfinati orizzonti. In quel silenzio estatico in cui par che anche il cielo rattenga il respiro, la vanessa alpinista si contenta di un palmo di roccia pulita affiorante dalla neve, e beata vi si posa dalla parte del sole: ritmicamente, con lento compiacimento di sé, abbassa e rialza le ali, quasi per provarle, quasi per imbeverle di quel sole lavato e per mostrare come son nuovi i loro colori al contrasto di tutto quel bianco; a un tratto, come se si sentisse nata ora dalla crisalide, guizza ringiovanita in cielo e si tuffa a volo librata da cuspide a cuspide, galleggiando nell’aria al disopra degli abissi. Chi vi ritroverebbe quel fiacco e incostante svolazzare delle farfalle di pianura, che sfiorano gli steli a un palmo da terra? Ora che sotto a lei si sprofonda l’immenso vuoto delle vallate, quel volo ad ali ferme scivola in cielo come una saetta; e se poi giù in quel bianco strisciano, piccoli e neri come formicoline, le cordate degli uomini, poco ne importa alla vanessa: quando è in cospetto dei ghiacciai, essa si sente molto più alta dell’arco di Tito.

Credo anche di potervi assicurare che le farfalle son capaci di passar gli oceani. Scendon dai monti, traversano le pinete, arrivano sulle spiagge, che esse dall’alto vedono graffite dalle tracce delle lucertole e degli scarabei, come sabbie di un grande deserto segnate dalle carovane; e in fondo al deserto vedono quella sterminata striscia verde, tutta picchiettata, come un prato fiorito di margherite, da scintille di sole. Assai spesso, andando in barca sul mare calmo, ho incontrato a più miglia dalla costa, svolazzante a fior dell’onde sotto il mezzodì, una di quelle lievi cavolaie che parrebbero le farfalle meno svagate e più casalinghe del mondo. Deviate dal vento, oppure ingannate da quel placido mare, ch’esse hanno preso per una grande prateria? Non direi. Non mi sono mai accorto che fossero stanche o smarrite; non le ho mai viste abbandonarsi sfinite nell’acqua, o posarsi sul bordo della barca, per avere un po’ di respiro, come fanno gli uccelli migratori sugli alberi dei velieri. Suppongo che viaggino alla ventura, senza bisogno di bussola e di provviste, forse vanno a esplorare dall’alto, nei bassifondi trasparenti, i prati sottomarini, per trasmettere messaggi alle attinie cugine degli anemoni terrestri; o forse questo loro spingersi e perdersi al largo è un modo pudico (nessuno ha mai trovato nei boschi i cimiteri delle farfalle) per andare a morire, finita la loro stagione, dove nessuno le vede.

Piero Calamandrei – Inventario della casa di campagna

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