Vita di Pi

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Intorno a me tutto era piatto e infinito, un panorama blu senza fine. Non c’era niente che ostacolasse la mia vista. L’immensità mi colpì come un pugno allo stomaco. Mi abbandonai all’indietro, senza fiato. Quella zattera era uno scherzo. Nient’altro che qualche asse di legno e un po’ di sughero tenuti insieme da una corda. L’acqua penetrava da ogni fessura. L’abisso sotto di me avrebbe fatto venire le vertigini a un uccello. Diedi un’occhiata alla scialuppa. Non era tanto diversa da un mezzo guscio di noce. Si teneva a galla come le dita di un uomo si aggrappano all’orlo di un burrone. Era solo una questione di tempo, e la gravità l’avrebbe tirata giù.

Venne l’alba e la mia situazione peggiorò. Ero emerso dalle tenebre e riuscivo a vedere quello che prima potevo solo sentire: enormi cortine di pioggia mi si riversavano addosso da altezze vertiginose mentre le onde, una dopo l’altra si abbattevano su di me calpestandomi.

Tremante e intorpídito, continuai ad aspettare, lo sguardo spento, una mano stretta intorno al raccoglitore d’acqua piovana e l’altra aggrappata alla zattera.

Poi smise di piovere, e all’improvviso cadde il silenzio, un silenzio assoluto. Il cielo si aprì e le onde parvero dileguarsi insieme alle nuvole.

Fu un cambiamento stranamente rapido e radicale, come passare da un paese all’altro. Galleggiavo su un mare del tutto diverso. In cielo il sole era rimasto solo, e l’oceano era una pelle liscia che rifletteva la luce con un milione di specchi.

Mi sentivo teso, indolenzito ed esausto; riuscivo a malapena ad apprezzare il fatto di essere ancora vivo. Le parole“Piano numero sei, piano numero sei, piano numero sei” echeggiavano nella mia mente come un mantra e mi davano un po’ di conforto, benché non riuscissi minimamente a ricordare in che cosa consistesse il piano numero sei. Cominciai a sentire il calore del sole. Chiusi il raccoglitore. Mi avvolsi nella coperta raggomitolandomi su un fianco, in modo che nessuna parte del mio corpo fosse a contatto con l’acqua. Mi addormentai. Non so per quanto tempo dormii. Quando mi svegliai era mattino inoltrato, e faceva caldo. La coperta era
quasi asciutta. Mi sollevai, appoggiandomi su un gomito.

Intorno a me tutto era piatto e infinito, un panorama blu senza fine. Non c’era niente che ostacolasse la mia vista. L’immensità mi colpì come un pugno allo stomaco. Mi abbandonai all’indietro, senza fiato. Quella zattera era uno scherzo. Nient’altro che qualche asse di legno e un po’ di sughero tenuti insieme da una corda. L’acqua penetrava da ogni fessura. L’abisso sotto di me avrebbe fatto venire le vertigini a un uccello. Diedi un’occhiata alla scialuppa. Non era tanto diversa da un mezzo guscio di noce. Si teneva a galla come le dita di un uomo si aggrappano all’orlo di un burrone. Era solo una questione di tempo, e la gravità l’avrebbe tirata giù.

A un tratto spuntò il mio compagno di naufragio. Si sollevò sul capo di banda e guardò verso di me. L’apparizione improvvisa di una tigre è sempre sensazionale, figuriamoci in quella situazione. Il bizzarro contrasto fra l’arancione del suo bel manto vivo e il bianco inerte dello scafo aveva qualcosa di magnetico. Alt! I miei sensi sovreccitati frenarono bruscamente. A un tratto il Pacifico – così vasto attorno a noi – mi parve un fossato troppo stretto, senza mura né sbarre.

“Piano numero sei, piano numero sei, piano numero sei” sussurrava frenetica la mia mente. Ma qual era il piano numero sei? Ah, si. Vittoria per sfinimento. Il gioco dell’attesa. Passività. Le leggi inesorabili della natura. La marcia crudele e inarrestabile del tempo. Ecco il piano numero sei.

Un grido mi risuonò nel cervello: “lmbecille! Stupido! Babbuino senza cervello! Il piano numero sei è il peggiore di tutti! Adesso Richard Parker è terrorizzato dal mare, che ha rischiato di diventare la sua tomba. Ma quando impazzirà per la fame e la sete, supererà la paura e farà di tutto pur di soddisfare i suoi bisogni. Il fossato diventerà un ponte, la zattera la sua dispensa personale. E quanto all’acqua… Hai forse dimenticato che le tigri di Sundarbans sono famose perché bevono acqua salata? Pensi veramente di poter resístere più a lungo dei suoi reni? Se dai il via a una guerra di logoramento, sarai tu a perderla! Morirai! E’ CHIARO?”.

Yann Martel – Vita di Pi

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