Kon-Tiki

“Guardate ragazzi – disse Herman orgoglioso – siamo a 850 miglia dalla costa del Perù.”
“E ne mancano ancora 3.500 fino alle isole più vicine” aggiunse prudente Knut.
“Volendo essere del tutto precisi – disse Torstein, – siamo a cinquemila metri dal fondo del mare e poche braccia sotto la luna.”

Succede ogni tanto di trovarsi in situazioni bizzarre. Ci si può arrivare gradualmente e in modo del tutto naturale ma, una volta che si è dentro fino al collo, all’improvviso ci si domanda stupefatti: ma come diavolo è cominciato tutto questo?

Per esempio, se uno si mette in mare su una zattera con un pappagallo e cinque compagni, è inevitabile che prima o poi una mattina si svegli in alto mare, forse un po’ più riposato del solito, e si metta a pensare.

Era proprio una mattina del genere, stavo scrivendo sul diario di bordo bagnato di rugiada:
“17 maggio. Mare grosso. Vento favorevole. Oggi tocca a me cucinare e ho trovato sette pesci volanti sul ponte, un calamaro sul tetto e un pesce sconosciuto nel sacco a pelo di Torstein…”.

Qui la matita si bloccò e quel pensiero si fece avanti insinuante: in realtà questo è un 17 maggio ben strano. Sj, tutto considerato una vita veramente insolita — mare e sole — ma com’era cominciato tutto?

Se mi voltavo a sinistra lo sguardo spaziava su un possente oceano azzurro, le cui onde spumeggianti si rincorrevano senza posa, all°insegui- mento di un orizzonte eternamente in fuga. A destra vedevo l’interno ombroso di una capanna poco stabile che ci faceva da casa. Dentro, un tipo barbuto se ne stava sdraiato e leggeva Goethe, tenendo le dita dei piedi nudi pigramente infilate fra le canne di bambù del basso tetto.

“Bengt – dissi, spingendo via il pappagallo verde che voleva salire sul diario, – dimmi un po’ com’è che ci siamo trovati in questa situazione.”

Goethe spari sotto la barba color rame:

“Che diavolo! E lo chiedi a me? L’idea è stata tua, ma devo dire che mi va proprio a genio!”.

Spostò le dita dei piedi tre canne di bambù più in alto e riprese indisturbato il suo Goethe. Fuori della capanna, sotto il sole cocente, altri tre uomini riparavano il tettuccio. Erano seminudi, abbronzati e con la barba lunga, con strisce di sale lungo la schiena e una faccia come se non avessero mai fatto altro che navigare il Pacifico su dei tronchi d’albero, diretti a occidente. Erik entrò curvo dall’apertura che fungeva da porta, con il suo sestante e un mucchio di fogli: “89°46” ovest, 8°2° sud. Oggi si fila che è un piacere, ragazzi!”

Mi prese la matita di mano e disegno un minuscolo cerchietto su una carta appesa alla parete di bambù: un minuscolo cerchio in fondo a una fila di altri diciannove che formavano un arco che partiva dal porto di Callao sulla costa peruviana. Arrivarono anche Herman, Knut e Torstein, ansiosi di ammirare quel nuovo cerchietto che ci avvicinava di più di quaranta miglia marine alle isole dei mari del Sud.

“Guardate ragazzi – disse Herman orgoglioso – siamo a 850 miglia dalla costa del Perù.”

“E ne mancano ancora 3.500 fino alle isole più vicine” aggiunse prudente Knut.

“Volendo essere del tutto precisi – disse Torstein, – siamo a cinquemila metri dal fondo del mare e poche braccia sotto la luna.”

Ora che sapevamo tutti con esattezza dove ci trovavamo, io potevo continuare a chiedermene il perché. Al pappagallo importava ben poco, si accontentava di zampettare sul diario. Anche l’oceano era indifferente, abbracciato dal cielo, azzurro sull’azzurro.

Thor Heyerdahl – Kon-Tiki

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